15/05/1506 - Lotta per i il recupero dei possedimenti.

Nonostante l’accordo con la famiglia Baldi, la Casa Matha riscontrò problemi nel recuperare i territori, una volta di proprietà della Schola Piscatorum, a causa di usurpazioni e dell’incertezza di determinarne i confini. Di conseguenza, in un’assemblea dei soci della Casa Matha, si decise di scrivere direttamente al doge di Venezia. 

In questa lettera, la Casa Amata dichiarava che in passato possedeva, con validi e giusti motivi, ingenti porzioni di territorio sia vallivo che di altra natura, ma che questa ampia possidenza era stata sottratta ingiustamente e indebitamente con dolo e frode ad onta dei diritti dell’Ordine. Pertanto, per volere di tutti soci dell’Ordine, si era deciso di fare donazione di tutti i diritti reali e diretti di tutti quei territori indebitamente usurpati al Doge veneziano, per mano dei suoi rappresentanti a Ravenna. Ma in questo gesto generoso da parte dell’Ordine nei confronti del doge, si volle sottolineare che, qualora i diritti e le possidenze fossero state recuperate anche solo parzialmente, il doge stesso avrebbe restituito alla Casa Matha la metà dei beni recuperati. 

La risposta da parte della Serenissima non si fece aspettare, a distanza di due settimane, il 30 maggio 1506, si esprimeva parere favorevole alla richiesta. Sebbene queste premesse facessero pensare ad un risultato positivo per il recupero degli antichi diritti e beni a favore della Casa Matha, s’imponeva una variabile non di poco conto: il tempo per perfezionare questo sottile disegno. Già nel 1510 la città di Ravenna venne integrata nei territori dello Stato pontificio e l’11 aprile 1512 (giorno di Pasqua), fu protagonista della famosa battaglia che modificò definitivamente l’assetto politico del territorio.

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